Domenica due economisti hanno tracciato con estrema lucidità le caratteristiche della crisi finanziaria. Ecco la prima intervista, pubblicata dal Sole, a Eichengreen docente a Berleley che dice con estrema chiarezza che la così detta innovazione finanziaria deve essere profondamente rimessa sotto controllo
«Usa in recessione fino al 2009»
di Mario Margiocco
«L'Europa alla fine risulta meno sofisticata, ma più affidabile ». Barry Eichengreen, 55 anni, insegna a Berkeley Economia e Scienza Politica ed è considerato fra i massimi esperti del sistema monetario e finanziario. Nei giorni scorsi a Genova, ha presentato con Marc Flandreau uno studio sui tempi in cui il dollaro diventò prima moneta internazionale. Era il 1925, cioè 20 anni prima di quanto si pensi. E spiega in questa intervista come, fra dieci anni, assai prima di quanto si pensasse, il dollaro dovrà dividere alla pari con l'euro questo ruolo. L'accelerazione è imposta dalla crisi finanziaria americana. «Siamo nella fase più delicata degli ultimi 70 anni », dice Eichengreen rispondendo al Sole- 24 Ore. La recessione americana è dura e quella europea, che ci sarà, potrebbe esserlo meno. Wall Street è in cura intensiva. Salvata in 10 giorni, a partire dalla forzata vendita di Bear Stearns nel fine settimana di St. Patrick ( 15-16 marzo), da 300 miliardi di titoli sicuri offerti in cambio di titoli traballanti. L'hanno tenuta a galla Federal Reserve, Tesoro, e il contribuente americano. Garantendo anche per le banche di investimento che Fed e sistema di supervisione non controllano con adeguati poteri, ma che andavano puntellate. Una rivoluzione. Costosa. Il mondo è cambiato dopo la fine del grande banchetto finanziario che ha avuto molti commensali, ma che resta identificato con gli Stati Uniti. La crisi finanziaria, e qui parla il politologo, ha anche inciso negli ultimi giorni sulla corsa alla Casa Bianca.
Quanto durerà la recessione negli Stati Uniti?
Si parla di due trimestri. Ma credo che la crescita non tornerà fino a 2009 avanzato. Quindi ci vorrà ben più del doppio. Al momento è il solo export a tenere grazie al dollaro basso, ed è bene così, purché non sfugga di mano. Tutto il resto è fermo, con l'edilizia bloccata, il sistema finanziario da ripulire ampiamente, le banche da ricapitalizzare.
L'Europa si salverà dalla recessione?
No. Ma sono assai meno convinto sulla durata e l'intensità di quella europea. Il vero decoupling
è un mito, e la frenata del consumatore americano si farà sentire. Inoltre anche l'Europa ha le sue crisi. Anche qui varie banche si sono esposte troppo su mutui subprime e derivati e il danno non è ancora chiaro. Il mercato immobiliare di Spagna e Irlanda, in grave crisi, potrebbe rivelarsi simile a quello americano. Quindi anche in Europa vedo scattare la formula nefasta di rallentamento della crescitae di problemi nel credito, ma in misura meno grave. Qui sì ci potrebbero essere due trimestri di recessione. La Bce farebbe quindi bene a ridurre i tassi, anche se l'Europa è un po' diversa.
In che senso?
Avendo abbracciato con minore entusiasmo la sofisticazione e l'ingegneria finanziaria, risulta alla fine più affidabile. Non è poco in un mondo dove gli investitori sono sempre più di Paesi terzi e possono scegliere tra una piazza europea e una americana, oltre a sviluppare sempre di più le proprie piazze finanziarie.
Wall Street perderà status?
Non è detto. Dipende da come si muoveranno la comunità bancaria, il Congresso, la Fed e il Tesoro. Da almeno un paio d'anni si diceva negli Stati Uniti che Wall Street perdeva terreno perché gravata dalle nuove normative seguite allo scandalo Enron del 2001-2002, a partire dalla legge Sarbanes-Oxley. Ora, dopo l'eccesso di derivati e dopo la tragedia dei mutui subprime, è chiaro che qualcosa va fatto, ma in senso contrario, con nuove regole, chiare e stringenti, che sono mancate. La deregulation alla fine ha compromesso il buon senso. Il Congresso e le autorità di sorveglianza possono incidere molto scoraggiando gli eccessi di ingegneria finanziaria, e la Fed può fare molto scontando in modo più favorevole prodotti più semplici e chiari, e incentivando chi emette mutui a tenerne una parte in portafoglio, come si fa in Europa, e non a cartolarizzarli e venderli tutti per disfarsene al più presto. Wall Street ha tutta la tradizione necessaria. Deve solo riscoprire un po' delle vecchie e più prudenti regole. L'abbraccio entusiasta dell'innovazione è insieme una grande forza e una debolezza dell'America.
Gli investitori internazionali alleggeriscono le posizioni in dollari e l'ultima asta dei titoli a 10 anni (Treasury notes) del Tesoro americano ha visto a metà marzo un netto calo di interesse; invece del solito 25% di media solo un 5,8% è andato a non residenti. Se si ripete alla prossima asta, sarà il panico?
Ci sono due aspetti. Come ho detto, è bene che il dollaro sia basso ora per gli Stati Uniti, un po' meno ovviamente per l'Europa. Ma non deve sfuggire di mano. Per questo l'esito dell'asta ha preoccupato e si è parlato di un intervento di sostegno al dollaro, se dovesse ripetersi. È evidente che c'è una fuga dal dollaro. Ci sono banche centrali che ne hanno troppi, a partire dalla Cina. Ma l'alleggerimento, in corso da tempo, deve avvenire in modo controllato. Abbiamo già avuto nella storia monetaria, ma in un contesto completamente diverso e ben più sfilacciato, un caso di eccesso di riserve con la Banque de France all'inizio degli anni '30, e un alleggerimento eccessivo e destabilizzante di sterline, e poi un eccesso altrettanto destabilizzante di accumulo di oro. Ma prendo i paralleli con prudenza. La Storia serve di più per mettere a fuoco le differenze, sotto analogie apparenti.
E dov'è l'analogia?
Da metà degli anni '20 al '29 la moneta che dava più sicurezza era il dollaro e le banche centrali ne fecero incetta, come riserva. Poi ci si spostò sulla sterlina, che Parigi acquistò in modo abnorme, subendo forti perdite e poi scaricandola e contribuendo alla svalutazione del 1931, per buttarsi poi sull'oro con altri inconvenienti globali da deflazione. Ora, i Paesi con i Fondi sovrani più attivi hanno un eccesso di riserve in dollari e cercano quindi di diversificare. Il Fondo sovrano insomma è uno strumentodi diversificazione delle riserve monetarie. La stessa corsa alle materie prime è una forma di diversificazione.
E l'euro?
È già molto importante e sta crescendo e credo che fra 10 anni al massimo il suo utilizzo come valuta internazionale sarà alla pari con il dollaro. La crisi finanziaria attuale, che ha colpito e colpirà anche l'Europa con qualche nuova crisi delle sue banche, si è identificata però con gli Stati Uniti, e questo favorirà l'Europa e l'euro. Ma va ricordato che avere due monete di riferimento internazionale è stato nella storia degli ultimi due secoli più la norma che l'eccezione. L'eccezione è stata piuttosto la seconda metà del 900 con il dominio assoluto del dollaro. L'Europa ha un'economia analoga a quella americana ed è naturale che esprima una moneta internazionale.
La crisi finanziaria da subprime, derivati, ed eccesso di debiti peserà sulle elezioni di novembre?
Per ora dico quello che dicono i bookmakers londinesi sulla nomination democratica, e cioè che Obama ha più probabilità di Hillary Clinton. Per novembre, chiunque sia l'avversario di John McCain, non faccio previsioni, troppo difficile. Nella scelta del presidente conta parecchio la simpatia istintiva, e McCain la suscita. Molti votano per simpatia umana, anche se le idee non sempre coincidono. È il fattore fiducia. Ma McCain ha però due handicap, anzi tre, oltre all'età. Rappresenta il partito che ha avuto la Casa Bianca negli ultimi otto anni. È a favore di una guerra impopolare, per i più. Ed è per una politica di hands off o quasi rispetto a Wall Street. Ora, o sviluppa una linea più interventista, visto che sarà il contribuente a sanare le voragini, o la cosa peserà contro di lui.
lunedì 31 marzo 2008
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento